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titolo RACCONTI AQUILEIESI
descrizione Racconti nella notte di Aquileia
Parla di una Aquileia cosmopolita, di un tempo in cui due fedi, quella ebrea e quella cristiana, non erano ancora separate, del dramma di un uomo diviso tra la carità apostolica e la severa crudeltà che si chiede ad un capo d’armi, disegna un mosaico paleocristiano in cui c’è la fine di una classe sociale, di un mondo, di un impero. E quando ne parla, Elio Bartolini, riesce a dare vita a strati di storia, a concetti lontani. Così, una mattina, nella pace della campagna del borgo di Santa Marizza. «Aquileia — spiega Bartolini — è da sempre nel mio immaginario. Mia nonna, che pure non c’era mai stata, ne parlava sempre in casa. Così io da ragazzino sentivo crescere questo nome e tutto quello che evocava. Fino che ho capito che dovevo fare qualcosa su Aquileia. Iniziai con i "Sette racconti cattolici”, ho continuato ora con i "Racconti aquileiesi"». Il pastorale e la spada:il dramma di Poppo «Ego Poppo, Patriarcha Aquileiensis», è il racconto dedicato al patriarca Poppo (1019-1042). Perchè ha scelto proprio lui nella lunga storia patriarcale? «E’ un personaggio straordinario. Straordinario perché contraddetto, lacerato, drammatico. Fu un ottimo patriarca dal punto di vista pastorale, non foss’altro per la ricostruzione della basilica che si deve a lui. Suo progetto era anche l’istituzione di una scuola palatina. Ma fu sfortunatissimo politico. Voleva sottoporre alla sua autorità la ribelle Grado. Tentò due volte, non ci riuscì. Anche con la sua Aquileia ebbe rapporti difficili, ma nel racconto, quello che emerge è soprattuto il suo confronto con Grado. Poppo è colto nel dramma di un uomo che deve essere pastore, esempio di carità per il suo gregge, ma anche uomo militare senza esitazioni all’uso delle armi. In lui l’ostinazione contro quella città ribelle è talmente grande da non riuscire a frenare l’ordine per la sua distruzione. Ricorre ad un trucco, classico, quello dell’Iliade. Fa introdurre in finte botti di vino degli armati che, una volta usciti, prendono a ferro e fuoco il castello, l’isola in cui sono custodite le reliquie di Sant’Ermacora e Fortunato, il tesoro della chiesa aquileiese che il patriarca Paolino, scappato sotto la venuta dei Longobardi, aveva recato con sé nella città lagunare. Poppo ne pretendeva la restituzione, perché Grado era "nihil aliud quam plebania", non era che una pieve di Aquileia, che, protetta prima dai bizantini, poi dai veneziani, si permetteva di essergli ribelle. Poppo si trova così ad adoperare il pastorale quasi "virga ferrea". "Il pastorale e la spada" è, del resto, il titolo della mostra organizzata per l’anno giubilare dalla Regione. Per questo ci tenevo che il libro uscisse adesso, perché se c’è un patriarca che vive in sé il dramma di dover conciliare il pastorale e la spada, quello è proprio Poppone».Simone, l’ebreo cristiano «Racconto ebraico», il primo che appare nel libro, è invece ambientato nell’agro aquileiese.«E’ un racconto strigato secco, patito, la storia di un ebreo di Aquileia che si è fatto cristiano in opposizione a tutti i suoi familiari: al padre, al nonno, ai fratelli. E’ diventato cristiano perché convinto di trovare nel cristianesimo il completamento della Legge. Si è fatto catecumeno. Gira per l’agro aquileiese, visitando i punti ove trova cristiani e celebra con loro il culto di Sante Sabide, quello di cui rimangono tante tracce in giro per il Friuli. I primi cristiani, convertiti dagli ebrei, identificavano il sabato con una giornata festiva, con quello che sarebbe diventato il Dies domini, una tradizione che fu lentissimamente sradicata anche dalle nostre terre. Dicevo, c’è questo ebreo che gira e partecipa all’agape fraterna. Una sera, durante le sue predicazioni, uno straniero lo attacca: "Cosa vieni qui a parlarci di Cristo, tu che sei della genia che lo ha crocifisso". E’ l’avvio del dramma. Simone giunge alla convinzione di non credere a niente, né al Dio dell’antico né a quello del nuovo Testamento. Va in un’osteria di quelle disseminate nelle strade consolari e nel fienile si taglia le vene. Si toglie la vita e muore nel modo più silenzioso». Mosaico paleocristiano nel cividaleseIl terzo racconto uscì già nei «Sette racconti cattolici». Di cosa tratta?«Siamo in una delle ville del cividalese, proprietà dei romani "honestiores" trasferiti da Aquileia. E’ la Pasqua del 568, nell’imminenza della calata dei Longobardi. Voci dicono infatti che barbari si stanno muovendo dalla Pannonia. Questo lo sfondo della storia di un grande proprietario latifondista, vedovo, con una giovane figlia, ambita da molti in virtù della sua dote. Una sera, dopo una festa, Vitale stenta ad addormentarsi. Ha appena rifiutato la mano di sua figlia ad un vicino che gli ha chiesto come unica clausola il battesimo cristiano della giovane, che del resto è già catecumena. Lui, che non rinuncia ad erigere un tempietto alla dea Fortuna per chiedere la grazia dalle invasioni attilane e vorrebbe evitare di cedere alla conversione della sua famiglia, ospita comunque nella villa un "presbyter", lascia che la servitù sia battezzata e compia i suoi riti cristiani. Posto però di fronte alla secca richiesta, rifiuta la mano della figlia. La sera stessa ecco che la trova nel fienile che giace con uno schiavo cristiano. Deve rimediare. Acconsente al matrimonio con il figlio inetto del vicino, si affretta a mandare la figlia ad Aquileia per concludere il catecumenato. Battezzata, riparerà, sposandosi. Il ricco Vitale è l’ultimo esempio di una classe sociale che sta per arrendersi: tra poco i Longobardi spazzeranno i residui di quella romanità. E’ per questo che è un mosaico paleocristiano». Un film su Aquileia cosmopolita Dopo questi racconti, ci sarà ancora Aquileia nei prossimi suoi lavori?«Vorrei fare un film. Ma sono troppo vecchio. Bisogna essere forti per affrontarlo: devi combattere, muoverti. Allora, visto che non posso fare un film, farò un libro, perlomeno, un racconto molto lungo». Che cosa la interessa soprattutto della «notte aquileiese»?«Scrivere di quello strato cittadino che non è solo romano ma che è siriano, ebreo, greco, del cosmopolitismo che per tanti aspetti rende così simile Aquileia ad Alessandria d’Egitto. E’ del resto uno dei motivi che mi fa persuadere dell’origine alessandrina della chiesa aquileiese, più che di quella romana». La storiografia si divide su questa origine.«Gli studiosi cattolici più conservatori, che vogliono sottolineare ad ogni costo la primazialità romana, a partire dal Paschini, sono senza dubbio attestati sull’idea di un messaggio evangelico arrivato su imput romano, petrino addirittura. Questo io non lo credo assolutamente. Sono convinto e sto dunque con quel grande storico che è mons. Guglielmo Biasutti, da cui molto ha preso anche Pressacco, di una trasmissione alessandrina». Sulla base delle affinità «commerciali».«Insomma, sono due città, tutte e due di mare, una prepara quello che l’altra importa ed esporta. Alessandria vuole quello che ad Aquileia arriva dalla Germania: l’ambra, le perle, le pellicce, gli schiavi soprattutto. Aquileia importa incenso, spezie, profumi, gioielli minuti. C’è dunque uno scambio naturale, da gente che riceve e dà commercialmente, ma anche ideologicamente. Non foss’altro che per curiosità. Ecco di questi primi scambi, di come si è formata la prima comunità cristiana, dei suoi rapporti con quella giudea, vorrei scrivere nel mio prossimo libro». [A cura di Elisabetta Pozzetto]

Autore: Elio Bartolini.


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